Monitoraggio dell’ambiente marino secondo l’approccio One Health: dalla contaminazione chimica a quella biologica
Il Mediterraneo è sottoposto a una pressione crescente dovuta a contaminanti chimici e biologici che minacciano la salute degli ecosistemi marini e, di riflesso, quella umana
Palazzo Pancaldi, a Livorno, ha ospitato un’importante giornata di confronto sul monitoraggio ambientale dal titolo: “Monitoraggio dell’ambiente marino secondo l’approccio One Health: dalla contaminazione chimica a quella biologica”. Un evento che ha posto al centro il concetto di “One Health”, ovvero l’interconnessione tra salute umana, animale e ambientale.
Aprendo i lavori, il Direttore Generale di ARPAT, Pietro Rubellini, ha sottolineato quanto la salute dell’ambiente sia direttamente legata a quella dell’uomo: “Inquinando l’ambiente, che è la nostra casa, inquiniamo noi stessi”. Un richiamo forte al principio di responsabilità condivisa, ispirato anche all’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, che invita a considerare il creato come un’unica unità.
A fargli eco, l’intervento dell’Ammiraglio Giovanni Canu, che ha evidenziato come la consapevolezza ambientale sia il primo passo verso comportamenti sostenibili: “La conoscenza amplia i margini di consapevolezza e favorisce comportamenti corretti nei confronti dell’ambiente, che ci è stato prestato e che dovremo passare alle future generazioni”. Particolarmente significativo il coinvolgimento dei più giovani nelle attività delle giornate “Blu Livorno”, durante le quali si è riflettuto sul delicato equilibrio della catena della vita.
Guardia Costiera in prima linea per la tutela del mare
Un ruolo centrale nella tutela ambientale è svolto dalla Guardia Costiera, come ha illustrato il tenente di vascello della Direzione marittima della Guardia Costiera di Livorno, Marco Di Benedetto. Il Corpo monitora lo stato del mare, controlla scarichi e rifiuti navali e interviene con diffide e sanzioni in caso di gravi violazioni ambientali.
Le operazioni si avvalgono del supporto tecnico-scientifico del laboratorio di analisi di Fiumicino, di laboratori mobili e di sofisticate tecnologie di telerilevamento, che includono l’impiego di aerei e satelliti. Fondamentale è anche l’approccio integrato: l’utilizzo combinato di mezzi navali, strumenti per il monitoraggio del traffico marittimo e la collaborazione con altri enti istituzionali e amministrazioni locali che consente un controllo capillare e coordinato.
Inquinanti tradizionali ed emergenti: una minaccia invisibile per il mare e la nostra salute
Tra gli interventi più incisivi, quello della professoressa Letizia Marsili dell’Università degli Studi di Siena, che ha ricordato come l’ombra del DDT, simbolo degli errori del passato in campo ambientale, continua ad allungarsi sul presente. Il suo caso è emblematico, sebbene messo al bando da tempo, in alcune parti del mondo continua a circolare. Sostanze create anche più di un secolo fa continuano a essere prodotte o sostituite con composti altrettanto tossici, generando rischi profondi per gli ecosistemi, la salute degli animali marini e quella umana.
Dal 1988 a oggi, oltre 1.000 mammiferi marini spiaggiati sono stati analizzati da una rete scientifica che coinvolge ARPAT, Capitanerie, zooprofilattici e altri soggetti coordinati dalla Consulta della biodiversità. Dagli studi su questi animali è emerso che le sostanze inquinanti si accumulano soprattutto nei tessuti grassi, con variazioni legate a specie, dieta, età e sesso. Le femmine adulte, ad esempio, riescono in parte a eliminare queste sostanze attraverso la gestazione e l’allattamento, a differenza dei maschi, che risultano più esposti.
Molte sostanze continuano ad accumularsi nei tessuti degli animali marini, in particolare nei cetacei e nelle tartarughe. Alcuni contaminanti agiscono sul sistema endocrino e immunitario con effetti gravi: dai casi di ermafroditismo nei pesci ai picchi di mortalità nei cetacei colpiti dal morbillo.
Un modello innovativo di analisi, chiamato STRESS, ha spiegato Marsili, consente oggi di valutare lo stato di salute degli animali a partire dalla concentrazione di inquinanti nei tessuti.
La scienza è di tutti: Legambiente promuove la “citizen science”
Anche i cittadini possono contribuire alla salvaguardia dell’ambiente. Lo ha dimostrato Fausto Ferruzza, presidente di Legambiente Toscana, raccontando i progetti di “citizen science” che coinvolgono volontari e scuole in campagne come Goletta Verde e Beach Litter. In oltre dieci anni, sono stati censiti, nelle spiagge, più di 440 mila rifiuti, per l’80% in plastica. L’associazione ha inoltre ampliato il monitoraggio ai parchi urbani e ai fiumi, ricordando che “il mare comincia da terra”.
Il valore di queste attività è molteplice: scientifico, sociale, politico ed educativo. Non si tratta solo di raccogliere dati ma di accrescere la consapevolezza collettiva, dimostrando che la scienza può e deve essere aperta alla partecipazione attiva delle persone.
Nanoparticelle: tra rischi e opportunità
Sconosciute ai più, onnipresenti nella nostra vita quotidiana: le nanoparticelle sono ovunque — nei cosmetici, nell’energia rinnovabile, nei materiali industriali — eppure restano un argomento ancora poco discusso nel dibattito pubblico.
Ma quali rischi comportano? E quali opportunità offrono? Questo l'incipit di Patrizia Guidi dell’Università degli Studi di Pisa, che ha rappresentato come il mondo delle nanotecnologie sia un terreno fertile ma complesso: pericolo silenzioso ma anche possibile risorsa per la tutela ambientale.
Utilizzate in cosmetica, industria e medicina, queste particelle, nanoparticelle, possono essere potenzialmente pericolose, perché capaci di eludere i sistemi di difesa biologici. La situazione risulta, poi, ulteriormente complicata dagli effetti combinati con gli inquinanti classici (come, ad esempio, cadmio e diossine).
Un’esperienza pilota nella Lucchesia ha mostrato che nanospugne ricavate dagli scarti delle cartiere possono ridurre la concentrazione di metalli pesanti in acqua senza danneggiare gli animali marini. Buoni risultati sono stati ottenuti anche con i fanghi industriali: filtrandoli con le nanospugne, si è ottenuta acqua più pulita e fanghi più leggeri, facilitandone lo smaltimento.
Contaminanti emergenti: l’inquinamento invisibile che minaccia mari, pesci e salute umana
Carlo Pretti, Presidente del Centro universitario di biologia marina, ha parlato dei cosiddetti contaminanti emergenti – farmaci, cosmetici, pesticidi, plasticizzanti – che finiscono nei mari e nei fiumi, interagendo con altre sostanze chimiche e amplificando i danni. Particolarmente allarmanti i principi attivi di farmaci veterinari e anticoncezionali, che possono alterare la riproduzione di pesci e crostacei.
Altrettanti significativi i casi dei filtri solari utilizzati per proteggere la pelle e dei derivati del benzene utilizzati negli pneumatici come antiossidanti. I primi contribuiscono allo sbiancamento dei coralli nelle Hawaii, tanto che lo Stato americano ha adottato una normativa che vieta l’uso di alcune sostanze contenute nelle creme solari. I secondi sono entrati nella watch list europea (una lista di attenzione) per i loro gravi effetti su pesci e salmoni, già documentati nella zona del Pacifico nord-occidentale, in particolare a Seattle.
Il problema è, poi, aggravato dal fatto che i depuratori tradizionali non sono progettati per trattare questi microinquinanti. Solo recentemente si è iniziato a parlare di sistemi avanzati in grado di filtrare anche le concentrazioni più basse di questi inquinanti. Pretti conclude affermando che è necessario comprendere e regolamentare anche ciò che sfugge all’occhio ma ha effetti profondi, sistemici e a lungo termine.
Il monitoraggio delle acque di balneazione in Toscana
ARPAT, come ha spiegato Antonio Melley, controlla regolarmente la qualità delle acque di balneazione in Toscana, per tutelare la salute umana. Su 277 punti di prelievo, i controlli si concentrano sui batteri legati alla contaminazione fecale. Il focus, quindi, è su due batteri intestinali, presenti normalmente nell’intestino umano e di altri mammiferi a sangue caldo, la cui presenza in mare indica il possibile arrivo di acque contaminate da scarichi urbani, agricoli o zootecnici.
Eventi meteo estremi, effetti del cambiamento climatico, e impianti di depurazione non sempre adeguati causano superamenti dei limiti normativi, gestiti con divieti di balneazione non sempre efficaci. Le ordinanze preventive, adottate ad esempio dal Comune di Livorno, si mostrano più idonee nel limitare l’esposizione dei bagnanti, ma resta la necessità di investimenti infrastrutturali per garantire acque sicure e sostenibili.
Nonostante le difficoltà, negli ultimi due decenni si sono fatti progressi concreti: le zone di divieto permanente sono passate da 18 nel 2001 a 11, con un miglioramento significativo in aree particolarmente critiche.
PFAS nelle catene alimentari marine: lo studio di ARPAT sui contaminanti emergenti presenti negli animali marini
ARPAT è impegnata nello studio dei PFAS, sostanze perfluorurate altamente persistenti, anche attraverso l’analisi dei tessuti di tartarughe, squali e cetacei spiaggiati, come spiegato da Cecilia Mancusi e Michele Mazzetti nel loro intervento.
L'Agenzia ha analizzato diversi tessuti per valutare la presenza e il livello di bioaccumulo di PFAS, partendo dall’ipotesi che il sangue rappresenti il principale veicolo di trasporto interno di queste sostanze negli organismi marini. Le concentrazioni vengono misurate con tecniche analitiche sofisticate basate sulla spettrometria di massa, che permette di identificare e quantificare tracce minime di contaminanti.
Tra i composti più diffusi emerge l’acido perfluoroottansulfonico (PFOS), presente in tutti i vertebrati marini studiati, con concentrazioni maggiori nel fegato, seguite dal sangue e dal muscolo. La stenella mostra livelli mediamente cento volte superiori rispetto a tartarughe e squali, suggerendo differenze metaboliche tra specie. Inoltre, i PFAS si distribuiscono diversamente nei tessuti: il PFOS, ad esempio, si concentra prevalentemente nel fegato e in misura minore nel sangue e nel muscolo, mentre alcuni acidi perfluorocarbossilici a catena lunga tendono ad accumularsi soprattutto nel cervello.
Non si registrano significative differenze nella contaminazione tra maschi e femmine mentre gli esemplari giovani risultano più esposti rispetto agli adulti.
Questi studi sono fondamentali per comprendere lo stato di salute degli ecosistemi marini e l’impatto dei contaminanti emergenti come i PFAS, considerando che la distanza evolutiva tra mammiferi marini e umani non è così ampia. Monitorare e analizzare queste sostanze permette non solo di tutelare la fauna marina, ma anche di valutare i rischi potenziali per la salute umana.
One Blue: l’Europa studia l’inquinamento marino
È partito a gennaio 2024, il progetto europeo One Blue, che coinvolge 18 partner, tra cui ARPAT, con l’obiettivo di mappare la presenza di inquinanti emergenti e “passati” nei mari europei.
Come illustrato da Sara Valsecchi di IRSA - CNR Brugherio,18 partner collaborano per raccogliere dati su acqua, sedimenti e fauna marina. Nel Mediterraneo, sono cinque le aree di campionamento, tra cui le coste della Toscana, del Mare Adriatico e dello Ionio.
Il progetto prevede 9 campagne di misura con 5 imbarcazioni, tra cui quella di ARPAT, e rappresenta un passo importante per costruire un quadro completo dei livelli di contaminazione nel Mediterraneo.