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Lunedì 05 settembre 2022

Cambiamento climatico, specie aliene, biodiversità sotto stress: così soffre il mare


Nella terza giornata scientifica rivolta al personale di ARPAT, la prof.ssa Marsili Letizia ha trattato il tema della biodiversità, delle specie aliene e degli effetti del cambiamento climatico sugli ecosistemi marini.

La terza giornata scientifica sui cambiamenti climatici, organizzata da ARPAT per il suo personale interno ed introdotta dal Direttore generale, Pietro Rubellini, si è tenuta nella giornata del 6 luglio 2022.

Letizia Marsili, ecotossicologa, professore associato presso il Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente dell’Università degli Studi di Siena ha tracciato un quadro molto esaustivo sui molteplici fattori che contribuiscono alla perdita di biodiversità, in particolare quella marina, e sul cambiamento climatico che amplifica gli effetti di tutte le altre minacce sugli ecosistemi marini. Tra gli effetti del riscaldamento globale la progressiva tropicalizzazione del Mar Mediterraneo ha comportato l'ingresso di specie non indigene provenienti dal Mar Rosso che sono aumentate significativamente, creando un nuovo ecosistema.

Nei 4600 milioni di anni di formazione del nostro pianeta, l'uomo ha lasciato la sua impronta fin dal momento in cui è comparso sulla terra e l’Earth overshoot day,  il giorno del sovrasfruttamento della terra ci aiuta a ricordarlo: il 28 luglio 2022 il mondo aveva già finito le risorse biologiche annuali che la terra ci mette a disposizione, cominciando a sfruttare quelle del 2023. Siamo nella morsa di un’emergenza climatica ed ecologica e stiamo vivendo sulle spalle di altre popolazioni e delle generazioni future.Due milioni su cinque milioni di specie sono quelle che sono state descritte, di queste solo il 14% sono quelle che sono studiate e di queste il 28% sono minacciate di sparire dalla faccia della terra

Molteplici sono i fattori che contribuiscono alla perdita di biodiversità, definita dalla Convenzione ONU sulla Diversità Biologica, come la varietà e variabilità degli organismi viventi e dei sistemi ecologici in cui essi vivono, evidenziando che essa include la diversità a livello genetico, di specie e di ecosistema. E’ stato dimostrato che la perdita di biodiversità contribuisce all’insicurezza alimentare ed energetica, aumenta la vulnerabilità ai disastri naturali, come inondazioni o tempeste tropicali, diminuisce il livello della salute all’interno della società, riduce la disponibilità e la qualità delle risorse idriche e impoverisce le tradizioni culturali.

A scala globale, il principale fattore di perdita di biodiversità animale e vegetale sono la distruzione, la degradazione e la frammentazione degli habitat, a loro volta causate sia da calamità naturali (ad esempio: incendi, eruzioni vulcaniche, alluvioni, ecc.) sia e soprattutto da profondi cambiamenti del territorio condotti ad opera dell’uomo; anche i cambiamenti climatici che, con l’alterazione del clima a scala globale e locale, hanno già prodotto significativi effetti sulla biodiversità, in termini di distribuzione delle specie e di mutamento dei cicli biologici.

Le attività umane hanno alterato profondamente i cicli vitali fondamentali per il funzionamento globale dell'ecosistema. Oltre alle industrie e gli scarichi civili, altre fonti di inquinamento sono rappresentate dalle attività agricole che, con l’impiego di insetticidi, pesticidi e diserbanti, alterano profondamente i suoli. Anche la caccia e pesca eccessive e indiscriminate possono aggravare situazioni già a rischio per la degradazione degli habitat. 

Anche la biodiversità marina è sottoposta a enormi pressioni e sta diminuendo a causa di inquinamento, sviluppo costiero, eutrofizzazione, traffico marittimo, produzione di energia e altre attività antropiche; decenni di pesca mal gestita inoltre, hanno causato il sovrasfruttamento di circa tre quarti degli stock degli stock ittici. La FAO nell’edizione 2020 del rapporto “The state of word fisheries and aquaculture”  ha stimato che la pesca industrializzata ha causato un sovrasfruttamento, il  cosiddetto overfishing (quando una specie ittica viene pescata più velocemente di quanto riesca a riprodursi), che ha ridotto la biomassa di pescato dell’80% negli ultimi 15 anni di sfruttamento.

Il Mediterraneo è uno dei mari più sfruttati al mondo e messo a dura prova dalle pressioni ambientali. La situazione peggiora drasticamente se a ciò si aggiungono le conseguenze del cambiamento climatico che sta avvenendo in un periodo brevissimo e con una incredibile velocità, soprattutto a causa del Global change, le modificazioni climatiche indotte dal riscaldamento terrestre, a sua volta conseguenza dell’aumento della CO2 nell’atmosfera.

Il cambiamento climatico amplifica gli effetti di tutte le altre minacce sugli ecosistemi marini. Studi recenti hanno dimostrato che oltre il 90% del riscaldamento che ha interessato la Terra tra il 1971 e il 2010 ha riguardato l’oceano e il Mediterraneo detiene il record per il mare che si è scaldato più velocemente. Mentre la temperatura media del nostro Pianeta nell'ultimo secolo è aumentata di 1 °C, la regione del Mediterraneo ha registrato un aumento di 1,4 °C: 0,4 gradi in più rispetto al resto del mondo. Le conseguenze di questa accelerazione sono sotto gli occhi di tutti: ondate di calore più frequenti, intensificazione della siccità, eventi meteorologici estremi, aumento del livello del mare e della sua acidità.

Uno dei problemi importanti del riscaldamento globale è quello che porta anche all’aumento del livello del mare, che potrebbe superare il metro entro il 2100, con impatti su un terzo della popolazione della regione.

L’aumento della temperatura porta anche alla acidificazione degli ecosistemi marini, dovuto all’assorbimento di anidride carbonica, la cui presenza si sta intensificando a causa delle sempre maggiori emissioni prodotte dalle attività degli esseri umani. Negli ultimi 200 anni, circa il 30 % delle emissioni totali sono state assorbite dall’oceano, e oggi, l’acqua del mare ne assorbe annualmente il 25 %. L’acidità media della superficie degli oceani, rimasta stabile per milioni di anni, aumentata del 26 % negli ultimi 150 anni. Diversi studi dimostrano che mitili, plancton e coralli sono le principali specie in pericolo.

Gli effetti di questi riscaldamenti globali sono :

  • la tropicalizzazione: il Mediterraneo non è un mare tropicale ma il processo di tropicalizzazione è invece già in fase avanzata nella parte più calda del bacino, il Mediterraneo orientale, il che permette di analizzare le potenziali conseguenze sull’intera regione nel caso di temperature sempre più alte a causa del cambiamento climatico.
  • Invasioni di specie aliene: come conseguenza della tropicalizzazione molte specie provenienti dal Mar Rosso o dall’Oceano Indiano ha raggiunto il Mediterraneo attraverso il canale di Suez: si pensa che 986 specie di cui 126 pesci siano diventati “migratori Lesepssiani” e che il cambiamento climatico stia aggravando il problema. Con l’aumento della temperatura dell’acqua i nuovi arrivati possono sopravvivere in aree sempre più estese del Mediterraneo che, solamente pochi decenni fa, sarebbero state troppo fredde. Molte specie non stanno semplicemente sopravvivendo, stanno decisamente prosperando a spese delle specie native. Per esempio, un’analisi nell’Area Marina Protetta di Gokova, in Turchia, ha mostrato che il 98% dell’intera biomassa dei pesci erbivori è composta da pesci coniglio alieni (Siganus rivulatus e S. luridus) e che perfino il restante 2% è costituito da pesci pappagallo il cui areale si è espanso verso le acque settentrionali ora più calde.
  • Bloom di Meduse: nel momento in cui l’ecosistema non è più in equilibrio, le meduse possono diventare un problema, e questo è quello che sta accadendo dal 2003 in un Mediterraneo sempre più caldo. I bloom di meduse nel passato erano eventi occasionali mentre oggi, nelle acque meridionali, stanno avvenendo non solo ogni anno ma anche per periodi più lunghi.
  • Declino delle Gorgonie: i coralli di tutto il mondo sono colpiti duramente dalle temperature sempre più elevate. Le gorgonie – anche chiamate “ventagli di mare”, sono spesse solo poche millimetri ma possono raggiungere il metro in altezza e larghezza – sono tra i coralli morbidi più belli del Mediterraneo. Con una bassa mortalità naturale, le gorgonie possono vivere fino a 60 anni. Quando le gorgonie muoiono e cadono, la natura tridimensionale degli habitat si riduce: meno forme erette portano a una perdita generale di complessità dell’habitat, (ma anche di ripari e aree di nursery) che a sua volta riduce la biodiversità marina e può lasciare spazio per le specie invasive.
  • Crollo della Pinna nobilis :anche se il cambiamento climatico è un processo graduale con effetti incrementali, esso si può combinare con altri fattori di stress ambientale e trasformarsi in una crisi ecologica. Nel Mediterraneo, il cambiamento climatico è stato correlato ai recenti eventi di catastrofica mortalità di massa che hanno decimato le popolazioni di nacchere – Pinna nobilis – in vaste zone. La Pinna nobilis è una specie “bandiera” – il più grande bivalve endemico del Mediterraneo, e uno dei più grandi al mondo. Ha un fondamentale ruolo ecologico, contribuendo alla limpidezza dell’acqua filtrando grandi quantità di detrito, e fornisce un habitat in cui molte specie si aggregano. Questa specie, minacciata dalla pesca ricreativa e commerciale negli anni ‘80, era stata protetta dalla Convenzione di Barcellona ma dall’autunno del 2016 un devastante evento di mortalità di massa ha colpito le popolazioni di Pinna nobilis nel Mediterraneo spagnolo, Corsica e in Italia causando una mortalità del 80-100% in alcune aree. La Pinna nobilis è stata dichiarata in Pericolo Critico di Estinzione (Critically Endangered, CR) sulla Lista Rossa della IUCN del 2019. Gli eventi di mortalità di massa sono stati causati soprattutto da un protozoo patogeno, Haplosporidium pinnae, che potrebbe essersi diffuso tramite le correnti marine estive ma ci si sta cercando di capire fino a che punto il cambiamento climatico potrebbe essere stato un’ulteriore causa.

Specie aliene alla conquista del Mediterraneo

Per specie aliena/esotica si intende una specie trasportata dall’uomo, in maniera volontaria o accidentale, al di fuori della sua area di origine. Nutrie, zanzara tigre, gambero della Luisiana e giacinto d'acqua sono fra le specie aliene più conosciute agli occhi di tutti. Un problema ancora oggi poco conosciuto, le specie aliene sono una minaccia per la biodiversità globale e per il funzionamento degli ecosistemi, che causano elevati costi economici e impattano sulla nostra vita e sulla nostra salute.

Per specie aliena/esotica invasiva (IAS, Invasive Alien Species) si intende una specie esotica la cui introduzione e diffusione causa impatti negativi alla biodiversità e ai servizi ecosistemici collegati. Non tutte le specie esotiche sono invasive, cioè dannose, e anzi di norma solo una piccola percentuale delle specie esotiche che arrivano su un dato territorio creano problemi (per esempio delle 12.000 specie esotiche registrate in Europa, il 10-15% è ritenuto invasivo). In Italia le specie aliene sono più di 3.000, di cui circa il 15% invasive, con un aumento del 96% negli ultimi 30 anni.

Molti studi hanno dimostrato come le IAS siano tra le principali cause di perdita di biodiversità, seconde solo alla distruzione degli habitat, e minaccino l’esistenza di moltissime specie autoctone in tutti i continenti.

L’impatto delle IAS è sia ambientale (predazione sulle specie endemiche, diminuzione della disponibilità degli habitat delle specie native, parassiti e malattie, ecc) che economico per le interferenze con le attività di pesca, i danni economici legati al turismo, alle infrastrutture, per la degradazione degli habitat, la competizione con specie endemiche di interesse commerciale ed i costi alterati dei trattamenti e delle manutenzioni.

L'arrivo delle specie esotiche è sempre legato all’azione dell’uomo; le vie di ingresso privilegiate sono porti e aeroporti dove merci e persone possono fungere da vettori volontari o inconsapevoli, ma un ruolo importante nella diffusione delle specie esotiche è giocato dal commercio di piante ornamentali e animali da compagnia, dall’introduzione volontaria per attività di pesca sportiva e venatoria, dal rilascio da parte di cittadini e dalla fuga da allevamenti o da zoo.

Per rispondere a questa grave e crescente minaccia, le istituzioni internazionali hanno adottato diverse normative, regolamenti e risoluzioni. In particolare, nel 2014 il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione Europea hanno approvato il Regolamento UE 1143/2014 entrato in vigore nel 2015. Il Regolamento ha introdotto una serie di prescrizioni volte a proteggere la biodiversità e i servizi ecosistemici dagli impatti causati dalle specie esotiche invasive, per le quali ha introdotto un generale divieto di commercio, possesso, trasporto, allevamento e rilascio in natura, attivando inoltre un sistema di sorveglianza per il loro rilevamento precoce e la rapida rimozione in caso di identificazione. In Italia il D.Lgs 230/2017 adegua la normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento ed ha individuato in ISPRA l'ente tecnico scientifico di supporto al MATTM per lo svolgimento delle attività previste ed ha realizzato un sito web dedicato.

Le Regioni e le Province Autonome, e i Parchi Nazionali, rientrano tra i destinatari primari della norma in virtù delle competenze in materia di monitoraggio e attuazione degli interventi di eradicazione e delle misure di gestione, nonché di ripristino degli ecosistemi danneggiati.

Le specie invasive costituiscono un problema a livello internazionale e nel 2002 i partecipanti alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica hanno concordato un approccio mondiale globale per fronteggiare le specie invasive.

Oltre a questi importanti passaggi legislativi, risulta indispensabile il supporto dell’intera società per una gestione realmente efficace del problema perché questo fenomeno è infatti strettamente connesso alle attività antropiche, ed è quindi essenziale promuovere comportamenti più responsabili da parte di tutti i settori della società, al fine di prevenire l’introduzione di nuove specie e a frenare la diffusione di quelle già presenti.

Una parte importante della lotta consiste infatti nel sensibilizzare la popolazione nei confronti del problema delle specie invasive. Life ASAP (Alien Species Awareness Program – Programma sulla consapevolezza delle specie aliene)  ad esempio è un progetto di formazione, informazione e comunicazione che ha lo scopo di ridurre il tasso di introduzione di specie aliene invasive e contenerne gli impatti sul territorio italiano.

Un supporto importante ai ricercatori dell'ISPRA coinvolti nella tematica, per le attività di osservazione, monitoraggio. valutazione della presenza e dell'impatto delle specie marine aliene nel Mediterraneo è rappresentato dal Sistema di osservazione Specie Marine Aliene che permette la gestione e la diffusione di dati ed informazioni georeferenziati e multimediali relativi alle specie marine aliene. Il Sistema ha valenza sia nell'ambito della ricerca scientifica, per lo studio dei fenomeni correlati, sia nell'ambito delle politiche ambientali, in particolare per quanto riguarda la Direttiva Marine Strategy Framework dove uno dei descrittori su cui sono basate la valutazione dello stato iniziale, la definizione dei target ambientali e delle strategie per conseguirli, nonché la verifica del loro raggiungimento, è relativo proprio alle specie marine non indigene.

La presenza e l’eventuale introduzione di nuove specie aliene può essere più pericolosa nel Mediterraneo che in altri bacini perché il Mare Nostrum, nonostante costituisca meno dell’1% dell’estensione totale delle acque marine del nostro pianeta, ospita circa il 7,5% delle specie animali mondiali (circa 17.000, una ricchezza specifica 10 volte superiore alla media). Mediamente viene segnalata una nuova specie non indigena ogni 9 giorni, ma è quasi impossibile fornire un numero esatto delle NIS (Non Indigenous Species) che attualmente stanno trovando un ambiente favorevole lungo le nostre coste. Inoltre, data la particolare morfologia del Mediterraneo e in virtù dei collegamenti con i bacini adiacenti, l’incremento è stato nettamente superiore rispetto ad altri bacini come il Mar Nero, il Mar Baltico o l’Oceano Atlantico.

La maggior parte delle specie aliene che si sono stabilite nel Mar Mediterraneo sono state introdotte negli ultimi decenni, principalmente con l’apertura del canale di Suez nel 1869 e dal suo continuo allargamento, ma anche dal crescente commercio marittimo, responsabile di molte introduzioni mediate dalla navigazione, e dall'introduzione intenzionale di specie aliene di merci (e, involontariamente, di specie contaminanti) per l'acquacoltura.

Tra le specie che entrano nel Mediterraneo, alcune sono state viste solo una o due volte, come l’aragosta Panulirus ornatus, altre invece, si sono rapidamente moltiplicate e ora sono ben radicate nel nostro mare, come il caso del granchio blu (Callinectes sapidus) che è un predatore molto vorace.  Negli USA il granchio blu viene commercializzato ed esportato per scopi alimentari.

A questo proposito la prof.ssa Marsili ha presentato un progetto finanziato dall’UE con fondi FEAMP e partito a giugno scorso “Dove il mare è più blu attenzione al granchio blu” perché questa specie sta aumentando anche in Italia; i pescatori la stanno pescando in maniera sempre più importante ma non è commercializzata al momento per cui nel progetto si propone di fare una eradicazione con il consumo di questo granchio. Accanto alla disseminazione e formazione delle persone per il consumo di queste carni con questo progetto l'Università di Siena sta facendo indagini sulle carni del granchio blu, sia da un punto di vista organolettico che della contaminazione perché questa specie abita nei pressi delle foci dei fiumi e potrebbe esserci il rischio che i livelli delle sostanze inquinanti nelle sue carni superino i limiti consentiti dalla legge.


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