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ARPAT News - newsletter sulle tematiche ambientali
Lunedì 22 agosto 2022

Dal 2035 solo motori elettrici o a idrogeno


Gli effetti della decisione presa dalla Commissione europea impongono cambiamenti epocali nei processi industriali, nelle strategie economiche ed energetiche

Con 339 voti a favore e 249 contrari l’8 giugno 2022 l’Europa ha confermato le indicazioni contenute nel Fit for 55 approvato nel luglio del 2021. Dal 2035 le automobili con motore endotermico non potranno più essere vendute mettendo al bando i motori termici sia a benzina che Diesel. Il comparto industriale degli autoveicoli dovrà ridurre per il 2035 le emissioni medie di CO2 dei loro veicoli del 100% rispetto al 2021, secondo questa tabella di marcia: ridurre le emissioni del 15% nel 2025, del 55% nel 2030 e del 100% nel 2035.
Entro tale data non si potranno più vendere vetture nuove che non siano elettriche o, teoricamente, ad idrogeno. Ad oggi, sono le uniche tecnologie in grado di portare a zero l’impronta carbonica di un’auto, misurata “from tank to wheel” – dal serbatoio alla ruota. La definizione indica la fase di utilizzo della macchina ed esclude tutti i processi produttivi che sono a monte e di smaltimento che si trovano a valle. Vale a dire l’estrazione e la trasformazione delle materie prime, la produzione del veicolo e soprattutto degli accumulatori, nonché il loro riciclo o smaltimento a fine vita, tutto ciò che raccolto sotto l’espressione “from well to wheel” (dal pozzo alla ruota) rilascia CO2 . Nelle fasi produttive dei veicoli elettrici l’energia necessaria proviene ancora per la maggior parte da fonti non rinnovabili, mantenendo ancora alta le emissioni di anidride carbonica.

Telaio BEV con batterie

Prima di questa decisione, si riteneva che la Commissione Ambiente avrebbe applicato delle modifiche all’architettura normativa non tanto riguardo agli obiettivi quanto nei tempi. Questi ultimi sono stati confermati e Bruxelles ha approvato una norma che avrà enormi conseguenze sugli assetti sociali ed occupazionali dei distretti produttivi. Conseguenze che avranno risvolti sia sulle scelte energetiche dei paesi che sugli assetti geopolitici e strategici per accaparrarsi il controllo delle aree geografiche da cui provengono le materie prime necessarie. L’imposizione dei veicoli BEV (Battery Electric Vehicle) senza prevedere un percorso di adeguamento di tutta la filiera produttiva, può indicare implicitamente che senza un obbligo perentorio la loro affermazione non avrebbe avuto seguito. L’altro aspetto che occorre approfondire riguarda il fatto che il passaggio all’elettrico non implicherà sostanziali miglioramenti ambientali, come già descritto in un precedente articolo.  

Iniziativa incompiuta
Nella stessa votazione in cui si è decisa a tavolino l’eutanasia di cilindri e pistoni, l’assemblea ha votato contro la riforma del mercato delle quote di emissione Ets “Emission trading system”  contro il Fondo sociale per il clima destinato alle fasce di popolazione più esposte ai cambiamenti climatici e contro il Cbam “Carbon border adjustement mechanism”, il meccanismo per imporre dei dazi sull’importazione di prodotti non conformi ai parametri europei, rendendo il phase-out del 2035 un’iniziativa incompiuta.
La decisione appare segnata da una zona d’ombra che risulta difficile dissimulare.
La scelta della Commissione europea di puntare sull’elettrico e quindi sulle fonti di energia rinnovabili, si infrange al momento in cui, si trova costretta a puntare sulle fonti fossili, in vari ambiti (industriali, strategici e civili), per affrancarsi dalla dipendenza energetica dalla Russia, .
Condivisibile è il valore etico della scelta: il clima, però, è istanza globale, non regionale.
Il prezzo della decisione di Bruxelles rimarrà tutto sulle spalle dei consumatori: l’automobile tornerà ad essere un privilegio, spingendo ai margini del mercato le fasce più deboli. Considerati i rilevanti aumenti registrati dalle materie prime nel corso degli ultimi due anni, resta difficile pensare che nel breve periodo i costi di produzione delle EV (Electric Vehicle) possano diminuire facendo rilevare quanto la catena del valore sia esposta alle oscillazioni delle speculazioni.
È ragionevole pensare che il loro prezzo non scenderà in modo clamoroso tanto da rendere i BEV-EV un prodotto “mass market” nel medio periodo. Qualsiasi iniziativa rappresentata da aiuti di stato o incentivi, continueranno quindi ad essere indispensabili per spingere un interesse destinato a rimanere marginale ancora a lungo. Non è detto che insistere su questa leva sarà sufficiente, come dimostra l’andamento dell’ultima tornata d’incentivi dove i soldi per le termiche sono andati subito tutti esauriti, mentre quelli per le BEV sono quasi del tutto rimasti inutilizzati.

Impronta carbonica – Carbon print
Adottando il criterio prima accennato “dal pozzo alla ruota”, si scopre che le auto a corrente non sono poi così pulite come si potrebbe pensare. È, infatti, noto che più le batterie che le alimentano sono grandi, più elevata è la loro impronta carbonica. Il report di quest’anno della Goldamn Sachs  indica come la produzione delle batterie oggi in uso nella maggior parte dei veicoli elettrici, sia concentrata in Cina, Sud Corea e Giappone generi 175 grammi di CO2 per ogni kWh di capacità e che tale tendenza è previsto che non si arresti, considerato che sono Paesi che basano pesantemente il proprio mix energetico sui combustibili fossili.

Su questo tema si gioca molto della credibilità della svolta verde dell’Europa, sono due i provvedimenti chiave legati a questo nodo. Il primo riguarda la tassazione dei beni in ingresso in base alla loro impronta carbonica: un’auto elettrica costruita fuori dai confini dell’Unione ad esempio in Cina o in Sudamerica, la cui produzione fosse alimentata con fonti di energia fossili, sarebbe passibile di una tassazione elevata. Tale misura darebbe un respiro più coerente e globale alla lotta al cambiamento climatico. Il secondo è quello del cosiddetto “Life Cycle Assessment” LCE e cioè l’adozione di un protocollo che tenga conto proprio delle emissioni “well to wheel” per valutare l’impronta carbonica del ciclo di produzione di ogni modello. Ovviamente tale impronta varia non soltanto in funzione della taglia della batteria ma anche del mix di fonti energetiche utilizzato per produrre l’energia necessaria ai processi di produzione.
Oggi secondo i dati di Nomisma energia, osservatorio privilegiato nell’ambito della ricerca in campo energetico e ambientale, la produzione media di eolico e fotovoltaico in Europa è pari al 2% circa, mentre la Germania nell’attuale scenario internazionale, ha deliberato l’aumento della produzione da carbone dal 21 al 31%.
La scelta del Parlamento europeo si basa, dunque, su una speranza di cambiamento suggestiva ma non fa i conti con la realtà. Riuscirà sicuramente a ripulire l’aria delle nostre città, ma è sproporzionata rispetto a ciò che fa il resto del mondo, al diritto alla mobilità della gente e, infine, ai limiti tecnologici intrinseci: la densità energetica di un chilo di gasolio non sarà mai raggiunta da una batteria. Percorrenze limitate ed i tempi di ricarica oltre allo stile di guida, mettono dunque in discussione i potenziali volumi di espansione dei veicoli elettrici.

Per approfondimenti: Il piano dell'Ue per una transizione verde


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