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Cetacei

delfini-gionha.jpgI cetacei sono un ordine di mammiferi perfettamente adattati alla vita acquatica, che condividono con i pesci soltanto una forma anatomica idrodinamica. Sono suddivisi in due sottordini, diversi per dimensioni medie e strategie alimentari: i misticeti e gli odontoceti.

I misticeti comprendono poche specie di grandi dimensioni (balene, balenottere, megattere, ecc.), che si nutrono di zooplancton o piccoli pesci filtrando l’acqua con i fanoni, delle lamine cornee frangiate fissate alla mascella superiore, in sostituzione dei denti.

Gli odontoceti sono un gruppo più numeroso, composto da molte specie di delfini, focene, zifidi e kogidi, oltre al capodoglio, al narvalo e al beluga. Sono muniti di denti veri e propri e si nutrono di pesci e cefalopodi grazie all’ecolocalizzazione, una tecnica d’identificazione delle prede basata sull’emissione di suoni ad alta frequenza e l’intercettazione della sua eco di ritorno. Ad eccezione dei capodogli, gli odontoceti sono generalmente di dimensioni più piccole rispetto ai misticeti e vivono spesso in gruppi sociali, anche numerosi.

Il Tirreno settentrionale è un bacino particolarmente ricco di specie di cetacei, sia stanziali che semplicemente di passaggio durante il proprio percorso migratorio. Alcune di queste, come lo steno, la pseudorca, la megattera, la balenottera minore e altre ancora, sono state segnalate solo molto raramente nel corso degli anni e non sono quindi considerate specie caratteristiche. Quelle regolarmente presenti nel mare toscano sono invece 8 specie:

delfini.jpg

 

Importanza ecologica e pressioni antropiche

I cetacei giocano un ruolo importante per l’equilibrio ecologico degli ecosistemi marini, perché occupano il vertice della catena alimentare e contribuiscono quindi, assieme ad altri grandi pelagici come squali, tonni e tartarughe marine, a mantenere in equilibrio numerico le popolazioni della fauna di cui si nutrono. Il loro numero è però in continua diminuzione e, secondo la red list di IUCN, 14 specie sono minacciate di estinzione a livello mondiale.

Fino a qualche decennio fa, la caccia da parte dell’uomo era una delle minacce più gravi per questi animali. Con la moratoria IWC del 1986, che vieta la caccia e la commercializzazione di diverse specie di cetacei in gran parte del mondo, si sono avuti segnali di ripresa importanti, sebbene alcuni Paesi, come Norvegia e Giappone, continuino tuttora a cacciare in modo illecito o poco chiaro.

Tuttavia, le pressioni in grado di minacciare più gravemente queste specie oggi sono diverse. L’attività di pesca è cresciuta in modo esponenziale negli ultimi decenni, tanto che la fauna ittica, talvolta, viene prelevata dai mari a un ritmo molto più veloce di quello con cui riesce a riprodursi. Questo sovrasfruttamento delle risorse (overfishing) preoccupa enormemente la comunità scientifica internazionale, per le gravi implicazioni che sta già determinando sull’intero ecosistema marino.
balena spiaggiataTali implicazioni riguardano in parte anche i cetacei e tutti i grandi predatori marini, che si trovano spesso in difficoltà per la mancanza di cibo e sono quindi costretti a modificare i loro areali di distribuzione. Senza contare che l’elevata pressione di pesca aumenta anche il pericolo delle catture accidentali (bycatch). I cetacei rimangono infatti impigliati nelle reti da pesca, , dove muoiono per annegamento o per le ferite riportate.
La carenza di cibo, ma anche l’inquinamento delle acque, l’eutrofizzazione costiera l’accumulo di metalli pesanti nei tessuti attraverso la catena alimentare, possono debilitare gravemente gli animali, rendendoli più vulnerabili all’attacco di malattie infettive, virus o infezioni batteriche (Morbillivirus e toxoplasmosi in particolare), fino a provocarne la morte.
Il crescente traffico marittimo aumenta poi la frequenza delle collisioni con le navi, soprattutto per balene e capodogli, e determina un inquinamento acustico in grado di interferire con il sistema di ecolocalizzazione utilizzato per la ricerca del cibo, o con i sistemi di comunicazione intraspecifica e interspecifica. L’inquinamento acustico può essere provocato anche dai sonar militari, che emettono impulsi a bassa frequenza e forte intensità, in grado di lacerare i tessuti interni dei cetacei, provocando emorragie o malattia da decompressione durante la fase di emersione.

Un ulteriore, grave, problema, soprattutto per i cetacei filtratori come le balene, è dato dalla presenza nelle acque di microplastiche, prodotte dalla degradazione dei rifiuti antropici marini, che vengono ingerite dagli animali in grandi quantità. I derivati più nocivi provenienti dalle micro-plastiche sono gli ftalati, sostanze in grado di accumularsi nel grasso sottocutaneo e interferire con le capacità riproduttive.

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