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Venerdì 19 agosto 2022

Unione europa e Italia: strumenti giuridici per la lotta al cambiamento climatico


Abbiamo rivolto alcune domande a Giacomo Vivoli, professore a contratto di diritto dell'ambiente del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università degli Studi di Firenze, per capire quali strumenti giuridici l'Unione europea e il nostro Paese stiano mettendo in campo per affrontare il cambiamento climatico

Giacomo Vivoli, professore a contratto di diritto dell'ambiente del Dipartimento di scienze giuridiche dell’Università degli Studi di Firenze, ha dato avvio, come relatore, al primo ciclo di giornate scientifiche organizzate dall'Agenzia sul cambiamento climatico e i suoi effetti.

Nel suo primo intervento Giacomo Vivoli, ha illustrato il quadro internazionale: convenzioni e accordi che regolano la lotta ai cambiamenti climatici, prevedendo un Pianeta sempre più sostenibile, senza tralasciare la questione, emergente, della giustizia climatica.

Nell'intervista che vi proponiamo oggi, invece, guardiamo all'Unione Europea (di seguito UE), alla sua politica per combattere i cambiamenti climatici - ambiziosa ma necessaria e improrogabile - e a come questa incida anche sul nostro Paese.

L'Unione Europea ha una politica molto ambiziosa in tema di lotta ai cambiamenti climatici, prefissandosi l'obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Quali sono i principali strumenti giuridici per realizzare tale obiettivo?

In effetti l’UE è impegnata da anni in prima linea nell’affrontare i cambiamenti climatici e, più in generale, nel portare avanti politiche ambientali improntate allo sviluppo sostenibile e alla decarbonizzazione.

Limitandosi a richiamare le più recenti tappe e la terminologia essenziale su cui si fonda l’azione climatica a livello UE in tema di cambiamenti climatici, ricordo il Green Deal Europeo del 2019 - dove la Commissione fissa la strategia per trasformare l’economia UE in sostenibile - e quelli che ne rappresentano la sua attuazione, ossia il “Fit for 55%” - che si traduce poi in una serie di interventi normativi volti a raggiungere un primo obiettivo intermedio, ridurre del 55% le emissioni entro il 2030 rispetto ai valori del 1990 - e l’importante regolamento UE del 2021, (la cd “legge sul clima”), che fissa giuridicamente l’impegno a raggiungere la neutralità climatica nel 2050. Da evidenziare come, a dimostrazione della priorità attribuita alla transizione, quest’ultimo regolamento sia stato approvato in piena pandemia: le istituzioni UE non hanno ritenuto opportuno né modificare né rimandare l’attuazione della strategia sui cambiamenti climatici.

I cambiamenti climatici sono comunque una sfida mondiale che richiede anche una risposta a livello internazionale; le istituzioni UE sono ben consapevoli che qualsiasi sforzo e impegno raggiunto sarebbe del tutto inutile senza un coordinamento sul piano internazionale il cui riferimento principale è l’Accordo di Parigi.

Ogni paese membro dell'UE è tenuto ad adottare un piano di adattamento da sottoporre periodicamente alla Commissione, il nostro Paese come si sta muovendo ?

Lo strumento tecnico a cui far riferimento è il piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC), un documento che ha un orizzonte temporale di 10 anni; quello in essere affronta il periodo 2021-2030 e in esso l’Italia ha indicato gli obiettivi da raggiungere in termini di efficienza energetica, produzione di energia da fonti rinnovabili e riduzione di emissioni di gas serra.

La situazione di crisi determinata dalla pandemia ha indotto le istituzioni UE ad adottare un piano straordinario per favorire la ripresa economica e sociale; ecco che quindi, sempre nell’ottica dello sviluppo sostenibile e della transizione ecologica e digitale, l'adozione del Next-Generation, Recovery Fund e PNRR (Piano nazionale per la ripresa e la resilienza).

In termini pratici si tratta di un programma straordinario di fondi a disposizione degli Stati per realizzare investimenti non solo ambientali. Il PNRR rappresenta il documento che ogni Stato doveva elaborare per poter accedere alle risorse del Next Generation EU, con cui spiega quali obiettivi, quali riforme e investimenti intende realizzare con le risorse europee messe a disposizione. Il PNRR italiano è stato approvato dall’ECOFIN il 13 luglio 2021.

L’Italia sinora ha fatto quanto doveva. Per quanto riguarda il PNIEC, che affronta il periodo 2021-2030, è ovviamente troppo presto per esprimere una qualsiasi valutazione sulla capacità  dell’Italia di mantenere gli impegni presi. Per quanto attiene, invece, il PNRR ha fatto sin qui quanto necessario per poter fruire delle risorse straordinarie messe a disposizioni dall’UE.

Per raggiungere la neutralità climatica dovremmo necessariamente ridurre le emissioni di gas ad effetto serra, questo impatterà in primo luogo sulle modalità attraverso cui produciamo energia: il diktat sarà quello di produrre sempre più energia da fonti rinnovabili abbandonando quelle fossili, come carbone, petrolio, metano ecc. Dal suo punto di vista, sarà possibile accelerare verso le fonti rinnovabili per raggiungere l'obiettivo di costruire un'Europa verde ?

Quello della produzione di energia da fonte rinnovabile ritengo sia un tema centrale, che il recente scenario ambientale e geopolitico può sicuramente contribuire a incentivare; la produzione di energia da fonte rinnovabile è una delle vie che ogni paese deve necessariamente percorrere.

L’Italia sin qui ha centrato gli obiettivi che le sono stati assegnati a livello UE ma la situazione non può ritenersi soddisfacente, sia per le potenzialità del nostro territorio, sia per la nostra strutturale carenza di risorse che ci rende rischiosamente dipendenti dall’approvvigionamento estero, come i recenti eventi bellici hanno messo drammaticamente in evidenza.

Recentemente, anche sotto la spinta della situazione internazionale, sono state apportate numerose modifiche alla normativa statale che disciplina l’installazione degli impianti da fonte rinnovabile, al duplice scopo di riuscire ad aumentare i siti e le aree dove poter localizzare gli impianti e di accelerare l’iter amministrativo che porta alla loro autorizzazione.

Il problema principale non è imputabile solo al diritto, ma anche all'approccio culturale. Il nodo da sciogliere è lo “scontro” tra ambiente e paesaggio, in relazione anche all’innegabile pregio di quest’ultimo. Fino a quando guarderemo “solo” con gli occhi, sarà difficile immaginare che una pala eolica per la produzione di energia possa migliorare la prospettiva visiva; occorrerebbe iniziare a guardare con gli “occhiali” della sostenibilità, vedendo quindi che, da qualche altra parte, non vengono bruciati combustibili fossili. Se questo passaggio non avviene, siamo di fronte alla nota sindrome NIMBY: nessuno, in linea di principio, nega l’importanza di produrre energia da fonte rinnovabile ma, in concreto, nessun vuole vedere le pale eoliche nel proprio territorio.

L’attuale scenario ambientale e geopolitico potrebbe dare una spinta alle rinnovabili più di un intervento legislativo; in particolare l’aumento delle utenze di luce e gas e la recente richiesta UE di riduzione dei consumi del gas del 15% in vista della prossima stagione fredda, sono dei “segnali” che possono farsi sentire molto più di una modifica legislativa. Gli impianti da fonte rinnovabile non possono, almeno nel breve periodo, risolvere il problema complesso della produzione di energia ma l’Italia dovrebbe avere un interesse proprio alla massimizzazione della produzione da fonte rinnovabile per rendersi, per quanto possibile, meno dipendente dall’estero.

Uno sguardo, infine, all'economia. Il diritto internazionale e il diritto comunitario indicano una rotta: a livello internazionale si punta a ridurre le emissioni di gas climalteranti con impegni diversi per le diverse nazioni, a livello europeo il progetto si spinge oltre, prevedendo un'Europa sempre più sostenibile e green. Per raggiungere questo obiettivo servono ingenti investimenti pubblici e privati, bisogna disporre di capitali per cambiare il sistema di produzione e di consumo. Dal suo punto di vista, gli investimenti pubblici e privati messi in campo finora vanno in questa direzione?

Ritengo opportuno distinguere la finanza pubblica da quella privata; per quanto riguarda la prima, il PNRR rappresenta sicuramente, almeno sino al 2026, la fonte essenziale per realizzare investimenti di natura “green” ed è quindi necessario sfruttare tali risorse in modo efficace ed efficiente; Al netto di tale possibilità prima o poi occorrerà anche tener presente l’entità del debito pubblico italiano, che non credo che possa permettere flussi di risorse finanziarie significative come quelle che potrebbero giungere dal PNRR.

Discorso molto diverso invece ritengo si debba fare per il settore privato, dove l’impegno verso l’ambiente non è più visto solo come un obbligo imposto dall’esterno, ma come una scelta di strategia aziendale autonoma. Ormai, almeno per le aziende un po’ più grandi e più avvedute, non è più il mero profitto l’obiettivo da raggiungere, hanno interiorizzato anche la necessità di porsi sul mercato in ottica più “green”, perché i consumatori, o almeno una parte di essi, chiedono prodotti e servizi più attenti all’ambiente e al sociale.

I due mondi poi, quello pubblico e quello privato, devono necessariamente dialogare e mi pare interessante segnalare, proprio nell’ottica dell’integrazione, l’esperienza - portata avanti sotto l’egida dell’ONU - della Climate Ambition Alliance, che riunisce soggetti pubblici e aziende, allo scopo di lavorare assieme al fine di raggiungere l'azzeramento delle emissioni nette di CO2 entro il 2050 (“race to zero”).

Infine, come appena ricordato, non sottovaluterei il ruolo dei consumatori che possono, con le loro scelte di consumo e di investimento, fornire segnali alle aziende, e quindi in qualche modo orientare la finanza, manifestando interesse verso prodotti e servizi offerti da quelle imprese che mostrano maggior attenzione agli aspetti ambientali e sociali


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