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ARPAT News - newsletter sulle tematiche ambientali
Venerdì 23 ottobre 2020

Come garantire la partecipazione dei cittadini: l'esperienza toscana


La partecipazione dei cittadini non è un ostacolo, ma un supporto per decisioni pubbliche più sostenibili ed efficaci

L’ordinamento comunitario e le norme internazionali, dopo la riforma costituzionale del 2001, sono entrati più direttamente nell’ordinamento italiano, introducendo una visione democratica del procedimento amministrativo, e quindi del procedimento di pianificazione territoriale, e prevedendo diritti e obblighi partecipativi che il legislatore statale e regionale è stato chiamato a declinare. Da questo quadro normativo sono emersi per tutte le Regioni alcuni principi a partire dai quali prevedere un regime giuridico della partecipazione democratica all’interno del procedimento di pianificazione e quindi:

  • la necessità di prevedere non solo l’informazione e la comunicazione, ma anche la partecipazione dei soggetti interessati e dei soggetti portatori di interessi collettivi e diffusi, all’interno dei procedimenti di pianificazione territoriale, urbanistica, paesaggistica e ambientale;
  • l’introduzione della partecipazione nella fase iniziale del processo decisionale, anteriore all’adozione, quando sono ancora possibili e praticabili più alternative, perché la partecipazione possa avere una influenza effettiva sul processo decisionale dell’amministrazione;
  •  l’obbligo di motivazione della decisione dell’amministrazione sui risultati della partecipazione a garanzia della effettiva incidenza della partecipazione nel processo.

Per attuare pienamente questi principi la Regione Toscana, con la Legge regionale 65/2014, ha disciplinato nel dettaglio la partecipazione all’interno del procedimento pianificatorio. In realtà in Toscana già la legge 5/95 e la 1/2005 erano state all’avanguardia nel panorama nazionale dell’epoca, poiché includevano la partecipazione nel governo del territorio, anche se in entrambe il rapporto tra cittadini e amministrazione si declinava sostanzialmente nell’essere “adeguatamente informati”.

Con la 65 il legislatore regionale ha quindi completamente riscritto la disciplina, estendendo gli obblighi partecipativi e andando oltre la sola informazione, per ottenere una partecipazione effettiva ed efficace all’interno del processo decisionale dell’amministrazione, rafforzando quindi gli effetti del coinvolgimento dei cittadini nelle diverse fasi di formazione degli atti di governo del territorio.

Negli obiettivi della legge trovano posto dunque gli stessi principi che avevano precedentemente animato il legislatore con la Legge regionale 46/2013 che detta una disciplina generale sulla partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali, legge anch’essa all’avanguardia nel panorama nazionale, essendo l’unica in Italia ad essere ispirata al concetto di partecipazione come una “fase” ordinaria del processo decisionale e all’idea che per migliorare la qualità delle decisioni sia necessario che le istituzioni tengano conto e motivino le proprie decisioni rispetto all’esito del processo partecipativo. La stessa legge definisce poi un’Autorità specifica regionale per la partecipazione (già prevista in realtà con la precedente legge 69/2007).

Grazie a queste norme regionali, in Toscana sono dunque addirittura due gli organi istituzionali di garanzia sui processi partecipativi, ovvero l’Autorità per la garanzia e la promozione della partecipazione di cui alla 46/2013 e il Garante dell’informazione e della partecipazione previsto dalla 65/2014; si tratta di due figure non confondibili in quanto

  • l’Autorità vede stabilita la propria indipendenza esterna al procedimento amministrativo, ha il compito di promuovere la partecipazione dei cittadini nei processi di costruzione delle politiche regionali e locali, un aspetto dell'ordinamento toscano sancito dallo Statuto regionale. L’Autorità è un organo collegiale, composto da tre persone nominate dal Consiglio regionale e dura in carica cinque anni;
  • il Garante non è un’autorità indipendente ma un organo della pubblica amministrazione che deve assicurare ai cittadini informazione e partecipazione all’interno di procedimenti amministrativi dati, certi e temporalmente predefiniti. In questo senso, è un organo che dispone di una sua autonomia e discrezionalità ma al servizio di un’azione amministrativa predefinita, di cui deve presidiare la qualità informativa e partecipativa, e la tempistica procedurale. La Legge ne prevede l’istituzione in Regione, nelle province, nella città metropolitana e nei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti. Il Garante regionale è nominato dal Presidente della Giunta regionale e resta in carica per la durata della legislatura.

Quali sono i rapporti formali tra le due istituzioni? Il Garante regionale, in merito all’esame delle domande di sostegno a processi partecipativi da parte dell’Autorità, redige un parere non vincolante.

dibattito pubblicoTra gli strumenti partecipativi previsti nella nostra Regione tramite la LR 46/2013 troviamo il dibattito pubblico; in questo caso la partecipazione è intesa come intervento nella discussione, ma non alla decisione. Nonostante questa limitazione, è chiaro comunque come la nostra regione abbia previsto e sperimentato prima di altri questo strumento, anticipando di molto quanto poi introdotto a livello nazionale con il decreto attuativo dell’Art.22 del Codice dei contratti pubblici che ha previsto un ruolo di cittadini e territori nelle procedure di «informazione, partecipazione e confronto pubblico sull’opportunità, le finalità e le soluzioni progettuali di opere, progetti o interventi pubblici».

Nel mese di settembre 2020, con la pubblicazione della Legge 120/2020, sono entrate in vigore le modifiche al Codice contenute nel Decreto legge 76/2020 (cd Decreto semplificazioni). Si tratta per lo più di modifiche a tempo e quindi non strutturali e, tra queste, una riguarda proprio il dibattito pubblico. Data l'emergenza sanitaria in atto e le conseguenti esigenze di accelerazione dell'iter autorizzativo di grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale aventi impatto sull'ambiente, sulla città o sull'assetto del territorio, il Decreto 76 prevede che sino al 31 dicembre 2023, su richiesta delle amministrazioni aggiudicatrici, le regioni possono autorizzare la deroga alla procedura di dibattito pubblico, previo parere favorevole della maggioranza delle amministrazioni provinciali e comunali interessate.

La disposizione, che consente quindi alle amministrazioni aggiudicatrici di procedere direttamente agli studi di prefattibilità tecnico economica nonché alle successive fasi progettuali, nel rispetto delle norme del codice dei contratti pubblici, prevede tale possibilità di deroga laddove le regioni ritengano le opere di particolare interesse pubblico e rilevanza sociale.

Questa novità normativa, se pur non strutturale ma a tempo, ha destato preoccupazione tra gli studiosi ed esperti di partecipazione che hanno firmato l’appello promosso dall’Associazione Italiana per la Partecipazione Pubblica, che richiede il ritiro della misura. In generale i firmatari della petizione denunciano l’errore di comprensione che ha mosso l’approvazione della norma, ovvero quello di considerare il dibattito pubblico, e in generale l’apertura del processo decisionale, qualcosa che complica e rallenta.

Analoghe preoccupazioni erano state già denunciate da 170 associazioni, comitati e reti che hanno sottoscritto il dossier “Decreto semplificazioni, così sono devastazioni. L’attacco a bonifiche, acqua, partecipazione dei cittadini, valutazione di impatto ambientale e clima”.


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