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Geotermia: impianti tradizionali o a ciclo binario?
Seconda parte dell’intervista al professor Daniele Fiaschi
Nella prima parte dell’intervista al professor Daniele Fiaschi abbiamo affrontato il tema della rinnovabilità della risorsa geotermica. Adesso ci soffermiamo sulla tipologia impiantistica.
Gli impianti geotermici presenti in Toscana sono tutti del tipo “tradizionale”. Si sostiene da più parti che questa sia l’unica soluzione possibile, cosa ci può dire in proposito?
Di sicuro l’utilizzo del fluido geotermico (e non solo la sua energia termica) direttamente “in macchina” è quello termodinamicamente più conveniente; consente di spremere al massimo la risorsa, ottenendo rendimenti più alti in relazione alle condizioni operative e al suo “valore energetico”.
Le soluzioni alternative fanno capo invece ai cicli binari; si tratta di impianti in cui il geofluido “non evolve in macchina”, ma cede semplicemente calore ad un secondo fluido (organico) che lavora in ciclo chiuso nell’impianto termoelettrico, operando da caldaia. Dopodiché, una volta raffreddato, il fluido geotermico viene reiniettato nel sottosuolo, non entrando mai in contatto con l’ambiente. Proprio questa mancanza di contatto con i componenti dell’impianto termoelettrico rappresenta la croce e la delizia della tecnologia binaria:
- croce perché termodinamicamente questo non contatto tra geofluido e impianto riduce le prestazioni termodinamiche;
- delizia perché questa mancanza totale di contatto ne evita la fuoriuscita nell’ambiente.
Il prezzo da pagare è però un minore rendimento degli impianti ed un maggior costo di produzione.
Una recente ricerca dell’Università di Firenze, applicata all’impianto di Bagnore 3, mostra come passando potenzialmente dalla configurazione attuale dotata dell’unità AMIS di abbattimento delle emissioni, a quella possibile di ciclo binario a totale reiniezione, il rendimento dello sfruttamento del potenziale termodinamico della risorsa passa dal 43% al 32%. Corrispondentemente, il consumo di geofluido passa da 19 a 25 kg per kWh di elettricità prodotta. D’altra parte, il ciclo binario a totale reiniezione prospetta emissioni nulle di tutti gli inquinanti, a fronte di 380gr di CO2, 1,2gr di acido solfidrico e 1,3 mg di mercurio per kWh prodotto.
Se infatti le emissioni risultanti a valle del sistema di abbattimento AMIS sono effettivamente ridotte in maniera consistente, nonché soggette a monitoraggio continuo, le dimensioni (20–40 MW) e l’operatività degli impianti (7000–8000 ore/anno), unitamente ai periodi di fermo dell’AMIS stimabili in qualche centinaio di ore/anno, portano in assoluto ad un rilascio in taluni casi non trascurabile di inquinanti in atmosfera. Inoltre, nonostante le drastiche riduzioni atmosferiche garantite e dimostrate dall’AMIS, non è detto che non sfuggano comunque quantità rilevanti di emissioni anche per altre vie: è il caso dell’ammoniaca, dell’arsenico e del mercurio, quest’ultimi ipotizzati da alcuni anche responsabili dell’inquinamento delle falde acquifere, date le quantità assolute rilasciate durante il funzionamento degli impianti.
Al solito, però, soluzioni impiantistiche binarie a totale reiniezione, se si è certi di reinserire nei punti giusti (serbatoio o zone di sua alimentazione) il fluido di cui si preleva solo l’energia termica, non darebbero adito ad equivoci, interpretazioni ed errori di valutazione circa le emissioni di varia natura, dato che si reimmetterebbe sostanzialmente tutto il fluido coi suoi inquinanti da dove si è prelevato.
Siamo chiaramente di fronte al classico caso in cui la tecnologia pulita ha i suoi costi termodinamici, che si riflettono direttamente anche su quelli economici, prospettando una minore convenienza delle soluzioni binarie rispetto all’utilizzo diretto del fluido geotermico: il gestore si trova a perdere dal 10 al 20% del potenziale produttivo.
Le soluzioni a ciclo binario sono quindi relegate, al momento, ad eventuali recuperi dalle brine geotermiche degli impianti standard oppure alla geotermia di bassa entalpia e/o ibridizzata con altre risorse rinnovabili (solare, biomasse). È pur vero, d’altra parte, che in certe situazioni amiatine tipo Bagnore 3, l’elevato contenuto salino dei fluidi impone la reiniezione delle brine geotermiche a temperature maggiori di 150°C per evitare precipitati, il che limita ulteriormente le potenzialità di recupero coi cicli binari.
È stato presentato un progetto per la realizzazione di un impianto geotermico con sistema binario a Castelnuovo Val di Cecina, pensa che sia una via praticabile?
Penso di sì, ho letto l’articolo "Geotermia a Castelnuovo Val di Cecina (PI)" e lo condivido integralmente, oltre ad essere un documento ben fatto anche dal punto di vista tecnico. Restano ovviamente gli innegabili svantaggi relativi ai minori rendimenti di conversione e quindi al minor sfruttamento della risorsa disponibile, con conseguenti maggiori costi.
Ma un progetto geotermico a reiniezione totale, con ricompressione della CO2 in soluzione liquida (di cui ci occupiamo come gruppo di ricerca presso l’Università di Firenze), rappresenta un sostanziale passo avanti rispetto allo stato dell’arte. Ovviamente il tutto va accompagnato anche da un’avanzata modellazione del serbatoio, che consenta di individuare con buona precisione l’ubicazione ottimale dei pozzi di reiniezione, in maniera che questa diventi veramente efficace. Un punto dirimente della sfida è il mantenimento in soluzione dei gas incondensabili senza che questi incrementino progressivamente la loro pressione provocando situazioni di instabilità geostrutturale e limitando rapidamente il potenziale reiniettivo.
Chiaramente, come più volte ricordato, tutto questo si paga, ma è il prezzo di una tecnologia pulita e sostenibile, che non può essere ignorata in nome di scelte solo economicamente più convenienti. In questo senso anche le autorità dovrebbero giocare un ruolo incisivo nell’indirizzare i gestori verso le soluzioni più innovative e a minore impatto ambientale.
Quale dovrebbe essere allora, dal suo punto di vista, il futuro per la geotermia in Toscana?
Il possibile futuro è rappresentato da soluzioni binarie a totale reiniezione, anche con cicli di potenza più evoluti e spinti il più possibile verso alte efficienze, come ad esempio i Kalina oppure gli ORC (Organic Rankine Cycle) supercritici.
Sicuramente una riconversione degli impianti esistenti con tecnologia a reiniezione totale non è semplice, né attendibile, nel breve–medio termine, specialmente per le centrali amiatine di recente costruzione come Bagnore 3 e Bagnore 4. È altresì vero che sarebbe possibile la riconversione di centrali single flash in impianti che evitino totalmente il contatto dei geofluidi con l’atmosfera, facendo lavorare la turbina a vapore in contropressione e recuperandone il potenziale energetico in ciclo binari sottoposti. La rimozione degli incondensabili avverrebbe a pressioni elevate, consentendo di reimmetterli in soluzione insieme alle brine geotermiche, avviate alla reiniezione, che diverrebbe così totale.
Il progetto di Castelnuovo, se dimostrerà la sua efficacia, potrà fare da apripista ad una nuova era geotermica, in cui la relazione stretta tra le diverse competenze geologiche ed impiantistiche, unita a capacità avanzate di monitoraggio e simulazione dei serbatoi e delle caratteristiche chimico – fisiche dei geofluidi, dovrebbero portare alla progettazione di un impianto che consenta l’efficace reimmissione, nei punti giusti, del fluido geotermico e dei relativi incondensabili (principalmente CO2) in soluzione liquida, senza che questi riescano in qualche modo a “sfuggire” creando sovrapressioni insostenibili all’interno delle strutture geologiche. Reimmettendo sostanzialmente tutto il fluido e i suoi componenti nel bacino da cui si è prelevato, le emissioni atmosferiche e l’eventuale inquinamento delle falde limitrofe dovrebbero essere evitati, oltre a garantire un’adeguata e sostenibile coltivazione della risorsa, essenziale per mantenerne le caratteristiche di rinnovabilità.
Altre soluzioni, pure investigate dal nostro gruppo di ricerca, sono quelle ibride, che combinano la geotermia di media–bassa entalpia ad altre fonti rinnovabili, come ad esempio quella solare. La tecnologia proposta qui è quasi obbligatoriamente quella binaria, che spesso è possibile combinare anche con la produzione di energia termica realizzando soluzioni cogenerative. Il vantaggio della geotermia di bassa–media entalpia è quello di estenderne la possibile applicazione ad aree molto più vaste rispetto a quelle naturalmente vocate alla geotermia tradizionale, generalmente abbastanza limitate. Ad oggi le soluzioni binarie a media–bassa entalpia rappresentano il 4% della potenza installata a livello mondiale; tuttavia il loro potenziale di crescita è sicuramente elevato, potendo sfruttare anche risorse impiegate nel termalismo e spesso abbondantemente eccedenti.
Cosa ne pensa delle preoccupazioni che esprimono i vari comitati di cittadini che contestano gli impianti esistenti e quelli possibili per il futuro, anche di tipo binario?
Riguardo agli impianti esistenti, un’opera di sensibilizzazione e prima ancora di informazione mirata ed efficace, attraverso eventi pubblici e media con adeguato controllo sulla validità delle informazioni prodotte e divulgate, che mostrasse in termini semplici, ma coi reali dati espressi in maniera chiara le effettive emissioni degli impianti e i loro impatti rispetto alla naturale situazione ambientale, potrebbe alleviare molto le tensioni, spesso causate da non conoscenza (o, peggio, da una conoscenza o interpretazione sbagliata) dei dati e del loro impatto.
Riguardo agli effetti sulla salute e sull’ambiente in generale, tali dati andrebbero mostrati in modo comparativo anche coi limiti non tanto normativi quanto scientifici (medici, biologici), reperiti da letteratura di livello ma estratti in maniera facilmente intelligibile dal grande pubblico.
Riguardo agli impianti del futuro, come già detto, la via più promettente è quella dei cicli binari a totale reiniezione, come appunto quello del progetto proposto per Castelnuovo. O comunque, se si volesse anche continuare ad utilizzare il fluido geotermico “in macchina”, soluzioni che ne evitano il contatto con l’ambiente ci sono e sarebbero praticabili con tecnologie attualmente disponibili. Il problema resta però la loro minore attrattività termodinamica ed il conseguente maggior costo, che finora ha spinto i gestori, nella larga maggioranza dei casi, ad optare per le soluzioni classiche. Da questo punto di vista però il progetto di Castelnuovo, come già detto, potrebbe rappresentare un punto di svolta essenziale nelle tecnologie geotermoelettriche, dando probabilmente l’avvio ad una nuova era in questo campo, o almeno, aprendo la strada ad una nuova opzione tecnologica. Chiaramente, anche qui un’opera mirata ed efficace di divulgazione popolare potrebbe contribuire in maniera decisiva a ridurre drasticamente la nascita e le reazioni di movimenti antagonisti alle centrali geotermiche.
Pur non dimenticando, al solito, che non esistono attività umane, e lo sfruttamento energetico anche di risorse rinnovabili non fa eccezione, ad impatto ambientale completamente nullo.
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